martedì 1 novembre 2011

 

Andiamo a spasso nelle tradizioni del mese di Novembre

Il mese di Novembre inizia con la festa di Ognissanti.

L’usanza di festeggiare i santi nel giorno delle loro morte perché coincide con quello della loro rinascita nel Cielo, era già presente nel II secolo in oriente; a partire dal IV secolo viene stabilito di celebrarli in un’unica giornata. A Roma la tradizione cominciò nell’ anno 610 d.C. quando il papa Bonifacio IV dedicò il Pantheon a Maria e a tutti i martiri, dopo che già esso era stato eretto in onore di tutte le divinità pagane. Il 2 novembre, la tradizione cristiana commemora tutti i defunti; ricordarli come portatori di vita e non solo esclusivamente di morte è presente in molti popoli. In Sicilia i morti che portano vita, donano anche regali ai bambini. Inoltre in molte regioni italiane si confezionano dolci a base di pasta di mandorle per l’occasione.


In Messico, mescolando tradizioni cristiane ed atzeche, vengono rievocati i cari defunti con gioia, e si festeggiano con dolci e pani a forma di scheletri e teschi.


Sulle tracce di popolazioni antiche, gli Etruschi credevano nella partecipazione dei defunti al banchetto funebre, seduti assieme ai vivi gli uni accanto agli altri, come testimoniato in alcuni affreschi presenti nelle tombe a camera di Tarquinia.


Gli antichi romani, invece, offrivano farina di grano mescolata al sale e pane bagnato nel vino, insieme a corone di fiori e viole sparse tutte intorno al luogo di sepoltura; in alcuni casi versavano latte, miele e vino nel sepolcro per permettere alle persone care sepolte di poter partecipare al banchetto, che però per loro si svolgeva a febbraio.


I Celti celebravano la presenza dei morti sulla terra il primo giorno del mese, in occasione del loro capodanno quando i defunti ricomparivano nel mondo dei vivi, mescolandosi ad essi. L’usanza dell’omaggio floreale sulle tombe viene anche dai celti, oltre che dai romani. Nelle regioni abitate dai Celti c’era l’abitudine di realizzare grandi cataste di teschi, poiché per loro il teschio aveva la qualità di irradiare energie benefiche oltre che donare profezie. Sempre per questa ragione i clans irlandesi avevano l’abitudine di riunirsi in un vecchio cimitero e amministrare la giustizia da questo posto: l’ossario quindi assumeva la qualità di elargire energie, aiuto e consiglio sia personale che per il popolo. Durante le veglie i teschi venivano dipinti e si trascorreva la notte suonando, cantando e bevendo. L’abitudine di celebrare i defunti in un’unica giornata fu presa dai cristiani bizantini, ma introdotta dai monasteri benedettini del IX secolo e stabilita come data il 2 novembre con l’intento di cristianizzare le tradizioni celtiche ancora presenti nelle campagne.

A Napoli c’è ancora la tradizione popolare di adottare un teschio sconosciuto come protettore della famiglia, scegliendolo tra quelli presenti nei sotterranei della città, e curandolo con attenzioni e rispetto.
Arrivando all’ 11 Novembre,  si festeggia San Martino. Anticamente in tale data c’era l’abitudine di traslocare, di rinnovare i contratti agrari, di fare elezioni municipali; a dimostrazione che questo periodo fosse considerato un rinnovamento, un principio di qualcosa di diverso. Il giorno della festa di San Martino è comunque un momento di allegria nella tradizione di vari paesi: si mangiano castagne, si beve vino novello, visto la stagione.


In provincia di Novara vengono distribuiti pani benedetti e l’ultimo giorno di festa i contadini compiono “l’ufficio della secchia”, versando in un barile il vino nuovo che viene offerto al santo. Tutti i presenti bevono ripetutamente secondo una tradizione più pagana che cristiana. Nella Pianura Padana si banchetta con l’oca, che è un animale presente nell’iconografia del santo, probabilmente derivante da una tradizione celtica che identificava nell’oca un messaggero dell’”Altro Mondo”. Inoltre sempre nella religione celtica veniva venerato un dio cavaliere e vincitore del mondo degli inferi, che vestito di una corta mantellina nera, in groppa ad un cavallo dello stesso colore, trionfava sulla morte. La descrizione di questo dio ha delle impressionanti somiglianze con la figura di San Martino e la vicenda del mantello diviso con il mendicante. A Scanno, si preparano tre falò chiamati Glorie, corrispondenti alle contrade del paese, molto alte e a forma piramidale, per permettere che il fuoco si sviluppi simultaneamente in ogni zona. I resti dei legni bruciati vengono donati da giovani col volto nero di fuliggine alle spose più giovani del paese, che a loro volta ricambiano con biscotti, formaggi, frutta e vino. La credenza più curiosa fa di San Martino il patrono dei cornuti, costume diffuso soprattutto nell’Italia centro-settentrionale. Anche in alcune zone del meridione c’è la consuetudine per gli uomini, di regalare dei dolcetti, di solito torroncini, alla propria donna, in segno di fedeltà in amore.


A Nepi ancora adesso si svolge un beffardo corteo di giovani che si adornano con le corna, passando di casa in casa. Nelle antiche tradizioni contadine, questo periodo era vissuto come uno sfrenato carnevale di 12 notti che si concludeva prima dell’Avvento. Durante questa festa, una simbolica caccia al marito tradito, uomo debole ed incapace di dominare la moglie, finiva con l’incornamento con corna di cervo o di mucca di alcuni individui presi a caso, perché il marito debole era identificato con il cervo, animale dalle grandi corna tipica preda del cacciatori. In Francia S. Martino portava i doni ai bambini buoni e puniva quelli cattivi, lasciando una frusta vicino alla cappa del camino.
Il 22 novembre ricorre invece la festa di Santa Cecilia, martire del III secolo e patrona dei musicisti, unica santa titolare di basilica romana rimasta venerata nella sua data tradizionale di martirio. La sua festa veniva celebrata nella sua basilica in Trastevere, di certo prima del 545 d.C. Cecilia donò alla chiesa un fabbricato di sua proprietà, la casa ancora presente nei sotterranei della basilica, nella cui cripta in seguito fu trasferito il suo corpo, dopo una prima sepoltura nelle catacombe di S. Callisto. La sua vicenda, insieme al martirio ed alla sua passione è forse legata soprattutto a tradizioni orali. La dolce figura della fanciulla sottoposta a crudeli torture, la lenta agonia di tre giorni dopo tre tentativi di decapitazione, ma soprattutto la straordinaria conservazione del suo corpo, riprodotto fedelmente dallo scultore Maderna nell’ aspetto e nella posizione in cui fu trovato all’apertura del sarcofago verso la fine del 1500, sono parte integrante della devozione nei suoi confronti.


Pochi giorni dopo, il 25 Novembre, è venerata un’altra giovane martire: Caterina d’Alessandria. La sua storia, svoltasi ad Alessandria d’Egitto, è molto poetica, ma poco veritiera. Si tratta infatti di una favola immaginata per colpire la fantasia dei fedeli. Caterina è una bellissima principessa che rimprovera l’imperatore Massenzio di celebrare eccessivi ed inutili sacrifici per divinità false. Sostiene la sua tesi innanzi a cinquanta filosofi che riesce a convertire al cristianesimo. Bellissima ed intelligente, rifiuta la corte serrata dell’Imperatore, che quindi la condanna alla prigione e a supplizi terribili dai quali esce indenne. Una corte di angeli scenderà dal Cielo per trasportare il suo corpo sul monte Sinai, una volta avvenuta la morte per decapitazione.
MARIA 





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