lunedì 23 aprile 2012

HO VISTO UN FILM...


                                                                                              
The Lady (Signora Libertà: storia di Suu Kye, l’ultima eroina)  Regia di Luc Besson



Qualche giorno prima delle  ‘epocali’ elezioni democratiche in Birmania, ho avuto il piacere di seguire un film che inizialmente volevamo evitare, pensando che si sarebbe trattato quasi di un documentario storico-politico, infarcito di luoghi comuni e retorica.                                                                                           Devo dire che ancora una volta si conferma ciò che ripeto a chi fa le proprie scelte sulla base esclusiva dei ’si dice’ , privandosi dell’esperienza personale.
                                                                                                                                                      Posso decisamente condividere le osservazioni di Concita De Gregorio, collaboratrice di Repubblica  “. . . che meraviglia, che piacere e che sollievo andare al cinema, sedersi al buio e per due ore entrare a far parte del mondo, capire, domandarsi, emozionarsi, sentirsi parte del tempo in cui viviamo e della storia, uscirne più ricchi, più consapevoli, grati . . .”                                                                                                            E’  la sensazione che lascia la visione del film di Luc Besson, sulla biografia di Aung San Suu Kyi, una donna che per 25 anni ha tenuto testa da sola ad una dittatura militare folle e sanguinaria, sfidando i plotoni di esecuzione, il ricatto degli affetti, la fame e la solitudine.                                                                      Questa donna, silenziosa, timida, educatissima, gentile, mentre veniva girato e diffuso in tutto il mondo il film, si preparava a sfidare l’arroganza e l’orrore, l’arbitrio e la morte: il 1° aprile sarebbe stata lì per le elezioni suppletive della Birmania, con la forte speranza di segnare l'inizio di una nuova era, con uno storico voto che potrebbe allentare le sanzioni dell'Occidente.                                                                                                                                Il regista, non avendo mai potuto incontrare la leader birmana,  ha dichiarato di aver deciso di girare il film dopo aver letto una frase della minuta ma inflessibile signora: “Usate la vostra libertà per aiutarci ad ottenere la nostra”.                                                                                                                                                    Ne è risultato un dosaggio abbastanza equilibrato tra i drammatici avvenimenti della lotta politica di questa donna straordinaria e le sofferenze di una travagliata vita familiare.                                                        
Anche attingere informazioni su di lei è stata davvero un’impresa: i birmani hanno talmente paura a pronunciare il suo nome che la chiamano The Lady.  Per tale motivo non sono state citate molte fonti,che sarebbero state messe in serio pericolo.                                                                                                                               Michelle Yeoh (La tigre e il dragone,
 Memorie di una geisha) è protagonista di una interpretazione molto misurata, mai retorica, anche fisicamente appropriata ; David Thewlis (L’assedio,
 Il grande Lebowsky, Harry Potter) è il marito inglese, docente di Oxford, fautore della campagna per l’assegnazione del Nobel, padre dei due figli,l’amore, il consigliere, il compagno di lotta. 


Una storia familiare che si intreccia con la lotta per l’indipendenza di un Paese . . . lei impara a fare campagna elettorale sulle montagne, lui impara a stirare,lei mangia una ciotola di riso in auto, lui cucina una colla di riso per il pranzo, lui va a ritirare il premio Nobel . . .                                                                                               La cerimonia : la sedia vuota, il discorso del figlio, la sala che applaude in piedi,  lei che ascolta da una piccola radio, sola nella grande casa dove è reclusa in Birmania.                                                Drammaticamente splendida è la scena in cui Suu attraversa il plotone di esecuzione pronto a spararle, guardando in viso il militare che le punta la pistola.



Suu Kyi non è mai tornata in Inghilterra, non l’avrebbero lasciata rientrare in Birmania, non ha visto morire il marito, non ha visto crescere i figli.                                                                                                                E’ nel suo Paese, continua a lottare nel nome del padre: il generale Aung San, protagonista della lotta per la liberazione del Paese negli anni ’40, assassinato quando lei aveva solo due anni.                                                  
 Con sei orchidee bianche nei capelli, proprio come quella che lui le metteva dietro le orecchie da bambina, continua a ripetere le parole del padre: ‘Aspettiamoci il meglio mentre ci prepariamo al  peggio’.



E finalmente è arrivato il giorno delle elezioni . . . domenica 1° aprile . . .                                                                                                        la Lega nazionale per la democrazia, il partito di Suu Kyi, ha ottenuto 40 dei 45 seggi disponibili - su 1160 - secondo quanto riferito dalla Commissione elettorale, quattro in meno rispetto a quelli rivendicati dal partito nelle ore precedenti.                                                                                                                 A Suu Kyi, premio Nobel per la Pace, tornata libera nel novembre 2010 dopo 15 anni trascorsi tra carcere e arresti domiciliari, andrà uno dei seggi della Camera. 



Le elezioni si sono tenute al termine di un anno di forti cambiamenti nel Paese, rimasto sotto il regime di militari per decenni: sono stati rilasciati molti prigionieri politici, ci sono stati colloqui con ribelli di minoranze etniche e si è allentata la censura sui media.   È ancora presto, però, per fare bilanci: in mezzo secolo di storia del Myanmar si sono tenute soltanto tre elezioni.                                                                                                                                                                                          Subito si sono diffusi in tutto il mondo messaggi di apprezzamento per la leader politica, da sempre alla ricerca di un dialogo con la giunta e le minoranze etniche birmane nel tentativo di superare lo stallo politico in cui versa il Paese.                                                                                                                                              I generali hanno sempre rifiutato di riconoscerla come interlocutore, mettendo in dubbio il suo patriottismo (la chiamano con il cognome da sposata, ‘la signora Michael Aris’) e accusandola di essere uno strumento in mano a Gran Bretagna e Stati Uniti e al servizio delle loro mire neo-coloniali.                
 Ma lei con il tempo e un enorme costo personale, è divenuta la più famosa detenuta al mondo, paragonata a Nelson Mandela e al Mahatma Gandhi, combattenti per la libertà da cui ha tratto ispirazione nel corso degli anni.                                                                                                                                                                         Secondo gli osservatori inviati in Birmania dall’Unione Europea, le elezioni in Myanmar hanno mostrato segni ‘molto incoraggianti’ di un ritorno alla normalità democratica, nonostante le notizie di irregolarità, che si spera saranno affrontate rapidamente dalle autorità.                                                                                   Il presidente dell'Europarlamento ha rinnovato il suo invito ad Aung San Suu Kyi a recarsi al Parlamento europeo per ricevere il premio Sakharov che le venne conferito nel 1990.




A seggi chiusi, Suu Kyi ha tenuto un breve discorso pubblico ai suoi sostenitori, davanti alla sede della Nld a Yangon. Pur festeggiando la vittoria alle urne, la ‘Signora’ ha avvertito di non eccedere nei trionfalismi perché le elezioni sono solo un passaggio nel cammino di riforme avviato dal Maynmar. Aung San Suu Kyi ha parlato di ‘vittoria del popolo’ che ha scelto di essere parte del ‘processo politico’ in atto nel Paese e ha assicurato il massimo impegno per promuovere ulteriori riforme.                                                     Ha poi anche detto che intende continuare la collaborazione con il presidente Thein Sein, che ha permesso di traghettare l'ex Birmania da un ferreo regime militare a una nazione in cui si intravedono spiragli concreti di democrazia, anche se ‘molto resta ancora da fare’. I sostenitori della ‘Signora’ hanno festeggiato tutta la notte. ‘È normale che il popolo sia felice’ ha affermato il premio Nobel, invitando alla moderazione, per ‘non amareggiare le altre parti’. ‘Speriamo che questo - ha concluso - sia l'inizio di una nuova era’. 


      
Il successo di Aung San Suu Kyi e del suo partito non cambieranno gli equilibri in seno al Parlamento, dominato dal partito di governo e con un 25% di seggi riservati ai militari.                                                                   
Tuttavia questa vittoria è un chiaro segnale politico che il popolo lancia al governo e ai militari, che non potranno più comandare nel Paese usando il pugno di ferro.


Maria... a dopo



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