venerdì 15 giugno 2012

ALZHEIMER: le ultime ricerche


Le statine sono risultate utili nell’Alzheimer Se trattati precocemente i malati migliorano cognitivamente

Giungono dal Canada gli studi più recenti in materia di Alzheimer e per molti versi appaiono sorprendenti, non solo perché smentiscono i risultati che negli anni venivano dati per acquisiti, ma anche perché farmaci ed integratori di utilizzo diffuso sembrerebbero risultare efficaci anche nella prevenzione dell’alzheimer. 
In particolare è emerso che chi assume statine corre un rischio ridotto di sviluppare la malattia di Alzheimer  e quindi tali farmaci, ampiamente prescritti per abbassare i livelli di colesterolo in persone sofferenti di patologie cardiovascolari o a rischio di incorrervi,  avrebbero un doppio impatto positivo. 
Lo studio ha riguardato i cervelli di 110 persone di età compresa fra i 65 e i 79 anni di cui sono stati prelevati i campioni, successivamente pesati e valutati in relazione a numerose variabili, fra cui età al decesso, sesso, eventuali ictus, ecc….
i ricercatori hanno notato, così,  che nei cervelli delle persone che avevano ricevuto una terapia a base di statine erano presenti una quantità di fibrille di proteine tau nettamente inferiore rispetto agli altri. Il deposito nel cervello di fibrille di proteina tau e di placche di proteina beta amiloide sono i segni caratteristici della malattia di Alzheimer che dunque risultavano meno evidenti all’interno del cervello di quanti avessero assunto statine nel corso della propria vita. 
Lo studio della McGill University, pubblicato sul Journal of Neuroscience  ha inoltre confermato che  "le persone affette da Alzheimer sono diverse –come affermato da Gail LI, uno degli autori della ricerca-. È probabile che le statine aiutino a prevenire la malattia più in alcuni soggetti che in altri. Forse un giorno saremo in grado di dire con più precisione chi può beneficiare di quale tipo di statina per prevenire i cambiamenti prodotti dalla malattia." Ora si tratta di capire, conclude  Hamel  “in che modo trasportare questi soddisfacenti risultati dal laboratorio alla terapia per i pazienti.” Di modo che da “tale ricerca possa partire l'impulso a promuovere urgenti ricerche per aumentare la diagnosi precoce e aiutare le persone con demenza a ottenere di più dai trattamenti”.


Annamaria... a dopo

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